a casa di ross
a casa di ross
Questo è il periodo della Commemorazione dei Defunti, e vorrei segnalare un disco speciale, regalatomi da un amico violinista tanti anni fa, in occasione della festa della mia laurea. A prima vista sollevai un sopracciglio, poi Federico mi disse che sarebbe sicuramente piaciuto ad una persona sensibile come me. Ed ebbe ragione. Il compositore è Gabriel Faurè, che visse un periodo storico intenso, tra il 1845 ed il 1924, come tutti quelli della sua generazione, come Ravel, Debussy, Puccini, Satie ed Elgar, tanto per fare qualche nome. Fu allievo di Saint Saens e direttore del Conservatorio di Parigi, dove ebbe il coraggio di riformare radicalmente i programmi d’insegnamento, e, in qualità di presidente della Société musicale indépendent si oppose ai tradizionalisti e conservatori che militavano nella Société nationale. Anche lui, come Beethoven fu afflitto dalla sordità, negli ultimi anni della sua vita. Bellissimi i suoi tre quartetti, ed i due quintetti per pianoforte, strumento nel quale eccelleva, la sua unica sinfonia in re minore op.41, il “Pellèas et Mélisande” op. 80, la Romance per violino solista e la Fantaisie op.111 per pianoforte. Faurè continuò a modo suo la tradizione romantica, (un po’ come Elgar), a modo suo perché il nostro aveva una, musicalmente parlando, una mentalità classica, lucidamente razionale, fatta di riservatezza ed aristocrazia. Le sue liriche per canto e pianoforte sono lontane dalla liederistica di Schumann, Brahms e Schubert e già più vicine, ovviamente anche per motivi cronologici, a quelle di Debussy, suo contemporaneo, specie per certe scelte di gusto simbolista. Faurè è sempre comunque stato attratto dalle risonanze e corrispondenze tra parole e musica. Il disco di cui parlo è bellissimo, è la Messa da Requiem di Gabriel Faurè, la sua opera più famosa: la dolcezza espressiva predomina, (anche se non mancano pagine di tono grandioso), che fa pensare piuttosto ad un’evocazione dei Campi Elisi, il soggiorno delle ombre felici. E’ un Requiem insolito, privo di drammaticità e del Dies Irae. Alcuni critici all’epoca, lo definirono una ninna nanna dei morti, (una berceuse funebre) e Faurè rispose che lui percepiva la morte come una lieta liberazione, un’aspirazione alla felicità dell’aldilà e non come un trapasso doloroso e terribile. L’opera completa consta di sette parti, perché due di esse (il Libera me e l’Offertorio) furono aggiunte nella seconda versione, nel 1877, così come venne rivoluzionata l’orchestrazione, che, inizialmente era limitata alle viole, ai violoncelli e contrabbassi, un violino solista per il Sanctus, un’arpa, timpani ed organo. Nella seconda versione Faurè aggiunse due flauti, due clarinetti, due fagotti, quattro corni, due trombe, due tromboni, che privarono il Requiem del suo carattere originario di assoluta intimità (Faurè aveva studiato a lungo la pratica del canto modale gregoriano), ma assicurando per contro un maggior fulgore. L’orchestra è la Philarmonia diretta dal grandissimo Carlo Maria Giulini, con il Philarmonia Chorus. I solisti sono la mitica soprano Kathleeen Battle ed Andreas Schmidt. L’etichetta, una garanzia, è la Deutsche Grammophon, il numero del disco, (che contiene anche la famosa Pavane pour una infante defunte di Ravel) registrato in digitale a Londra nel marzo 1986, è 419 243 - 2. E’ un Requiem che lascia un senso di pace e di serenità, un disco davvero meditativo e spirituale.
MUSICA, MUSICA...
giovedì 29 ottobre 2009